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Scuola, s’impone un cambiamento di rotta e non semplici decreti proclama. 

 

C’è da ricominciare dalle fondamenta e non solo e non tanto per quanto riguarda gli studenti, ma anche per quanto riguarda gli stessi docenti

In questi giorni di inizio dell’anno scolastico, come al solito tutti esprimono proposte, pareri ed analisi sullo stato di salute della scuola nel nostro Paese. Sulla scena tanti temi: la vicenda Alitalia, la crisi georgiana, l’aumento dei prezzi, le elezioni americane, la riforma della giustizia, i fannulloni e la pubblica amministrazione.
La scuola è uno dei temi sui quali ritualmente si incentra il dibattito e si focalizza l’attenzione dei media, per qualche giorno nel mese di settembre. Il ministro in carica, come già hanno fatto i suoi predecessori, si propone in qualche intervista avanzando proposte rivoluzionarie e producendo il solito decreto- proclama stavolta incentrato sul voto di condotta,il grembiule, il maestro unico, la riduzione degli organici, il ridimensionamento delle scuole, la formazione dei docenti con un occhio particolare per quelli del sud.
Chi ha esperienza di vita scolastica e ha vissuto tutti i giorni dentro gli istituti a contatto diretto con i problemi e le difficoltà, trova grande fatica ad accettare in silenzio l’operazione Gelmini che, per operare in un quadro di tagli di spesa, sta riducendo drasticamente l’offerta educativa.
Come tutti sanno il destino della scuola e dell’università è nelle mani del ministro dell’Economia, Tremonti, dedito ai tagli anche per finanziare il federalismo fiscale, piuttosto che in  quelle della vestale della Minerva.
Purtroppo in Italia, nessuno né della maggioranza, né dell’opposizione prova a dare al problema della scuola la centralità assoluta che gli compete.
Il punto drammatico e vero è che la società  e la nostra classe dirigente non hanno alcun progetto educativo perché non riescono ad avere nessuna visione del futuro e del rapporto con le nuove generazioni.
E  nell’elaborazione di un vero progetto, per un grande patto per cambiare la scuola non si può certo contare sui sindacati.
Quest’ultimi, ed in particolare quelli del pubblico impiego poi sono noti in questo Paese per lo storico merito di aver sempre e comunque garantito il posto a chi ce l’ha già: a prescindere da qualsiasi valutazione di merito e dal rendimento sul lavoro.
E anche ammesso, tuttavia, che per atto di fede si potesse credere a una conversione virtuosa, di tipo paolino, dei signori “dell’altra casta”, di cui chissà tanto poco si parla, si trascura  che la gran parte dei fannulloni di cui parla il ministro Brunetta potrebbero essere gli ex  bamboccioni allevati negli “asili nido” dei partiti e del sindacato.
E su quest’ultimo scoglio farà naufragio, ancor prima di salpare, l’encomiabile crociata di Brunetta e la velleitaria azione della Gelmini.
A quest’ultima vorremmo dire:
E’ vero che i giovani non riconoscono nessuna autorità, non hanno nessuna idea di ciò che è consentito e di ciò che è vietato, ma pensare che questa situazione gravissima possa essere risolta con il voto di condotta è soltanto una prova di estrema superficialità e velleitarismo.
I nostri giovani prima di venire a scuola sono vissuti in quartieri o condomini, spesso anaffettivi o violenti, fatti di solitudini o “buone maniere”. Hanno seguito programmi televisivi spesso deficenziali e cruenti, sono vissuti in un contesto familiare e sociale che li ha orientati nel rapporto con il mondo, con le persone e con le cose.
Ora l’educazione e la formazione non possono fondarsi sul nulla, non possono esercitarsi al di fuori della realtà o prescindendo da questa. Per questo tutte le analisi che riguardano il fenomeno scuola e con esse tutti i rimedi suggeriti, sono destinati a fallire poiché prescindono dal vero problema:quello appunto della dimensione virtuale e magica della vita.
La scuola nient’altro è che lo specchio della società, la visione della vita che ci orienta e ci dà le risorse per immaginare il futuro. La scuola è educazione al pensiero che deve operare per liberare la mente dei giovani dai pregiudizi e dalle ipocrisie opportunistiche degli adulti, provando ad orientarli nella ricerca dell’autonomia e della creatività attraverso il confronto e facendo leva sulla fermezza, la coerenza, l’amore, l’attenzione e l’affettività.
Antonio Gramsci,  che aveva fatto del problema educativo il centro di molte riflessioni politiche, invitava le classi subalterne a considerare lo studio come il solo valido metodo per una maturazione umana capace di affrontare le difficoltà materiali e psicologiche della vita.
Paradossalmente la drammaticità dell’emergenza scuola non sta tanto nella bassa classifica nella quale, a livello mondiale, è piombata la preparazione dei nostri giovani, quanto piuttosto nel vuoto di idee e di progettualità nel quale sembrano imprigionati  docenti e studenti.
E cosa ancora più sorprendente, la poca o nulla affatto consapevolezza di coloro su cui incombe la responsabilità della politica scolastica.
Certo, non è mancato qualche segnale da parte governativa della pochezza della preparazione culturale e personale dei nostri studenti.
Il tentativo di ripristinare, se pure attraverso un marchingegno poco comprensibile ed inefficace, l’esame di riparazione o, se volete, la ricomparsa nelle commissioni degli esami di stato dei membri esterni, sono solo dei segnali per comprendere che anche il Potere sembra essersi accorto dello sfacelo della nostra scuola.
Ma questi segnali, oltre ad essere poca cosa, non colgono la vera natura della crisi della scuola italiana.
Contributi come quelli offerti da Umberto Galimberti nel suo libro “L’ospite inquietante” o da Paola Mastrocola nella “Scuola raccontata al mio cane” e dagli appelli di intellettuali, di vario orientamento culturale, sembrano non aver lasciato traccia nella comprensione dell’emergenza scuola.
Eppure la vera questione oggi, è di rendere “straordinario” l’ordinario, di ritornare a quel sapere e a quell’esercizio paziente e quotidiano della chiarificazione concettuale e critica delle nozioni basilari del vivere e dell’operare.
C’è da ricominciare dalle fondamenta e non solo e non tanto per quanto riguarda gli studenti, ma anche per quanto riguarda gli stessi docenti.
Oggi, come scrive il Prof.re Pietro Barcellona, “ chi non ha il coraggio di denunciare le malattie della scuola come sintomo delle malattie del nostro Paese, di esprimersi contro il blocco del pensiero creativo e il genocidio culturale a cui tutti, destra e sinistra,partecipano in una complice alleanza per la sopravvivenza del proprio potere, merita di essere accusato di codardia”.

Per eventuali proposte e contributi contatta
cultura@ingegnicultura.it



Autore: Mario Incatasciato

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