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Quella sceneggiata chiamata ipocrisia 

Molto attuale nella pubblica amministrazione è spesso confusa con la diplomazia

Sceneggiata non è un termine a caso visto che l’ipocrisia un tempo qualificava gli attori, quelli che sapevano fingere per mestiere. Con questa gli uomini convivono da sempre, ma oggi è una caratteristica diffusa e attualissima.
Il mondo in cui viviamo sberleffa i buoni sentimenti come la lealtà e l’onestà e enfatizza tutti i modi attraverso i quali si può raggiungere il successo o meglio la visibilità. E l’ipocrisia aiuta allo scopo.
Un tempo l’ipocrita era biasimato, additato a individuo falso da tenere a bada.
Oggi l’ipocrisia è diventata in qualche modo una “dote” che molti, soprattutto nella pubblica amministrazione e ahimè anche nella scuola, confondono con la diplomazia o con le abilità sociali, modalità adeguate ed efficaci per relazionarsi al prossimo.
L’ipocrisia era un tempo necessaria a certi strati della popolazione che, simulando un modo di essere, cercavano di accattivarsi le grazie del principe e del padrone, senza le quali avrebbero condotto una vita di stenti e messo a repentaglio la stessa sopravvivenza.
Oggi si finge per apparire ciò che non si è, ovvero per mostrare un aspetto che si ritiene gradito all’altro in vista perciò di un premio o di un riconoscimento.
Nell’era dell’economia con il potere-denaro quale primo obiettivo e l’uomo suo strumento, l’ipocrisia è diventata un modus operandi, una modalità necessaria per arrivare al fine.
Talvolta ad essere ipocriti ci si prende talmente gusto da costruire un’esistenza basata sul fingere e mostrare aspetti virtuosi di sé ad ogni piè sospinto, anche quando non è richiesto.
L’ipocrita a volte abusa della pazienza altrui e sottovaluta l’intelligenza o  l’intuito dei suoi interlocutori. Non sa cogliere che il troppo storpia e ciò che inscena per “conquistare”, finisce con il ritorcersi contro sè stesso.
L’ipocrisia non è soltanto un boomerang, spesso gli esseri umani fingono persino con loro stessi. Si ritengono in  buona fede su ciò che in realtà non sono: buoni, sinceri, caritatevoli, dediti al prossimo, leali ed affidabili. Non accetterebbero di vedersi all’opposto di questo bel quadretto.
E l’autoinganno è in qualche modo una forma di ipocrisia introiettata, che diventa fardello per esprimere il meglio di sé, zavorra per essere contenti.
E questo rappresenta il costo soggettivo del non saper essere spontanei, autentici e diretti. Spesso, molti amano vivere separati in casa con sé stessi e “falsi” e “costruiti” nei rapporti con gli altri.


cultura@ingegnicultura.it


Autore: Mario Incatasciato

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